Correre in monoposto tra case, palazzi, marciapiedi e pali dell’illuminazione è una costante nella ormai lunga storia della formula uno, che sin dagli albori ha conosciuto tracciati allestiti su strade aperte giornalmente al traffico veicolare, con le annesse problematiche di sicurezza legate alla pressochè totale assenza di vie di fuga e alle condizioni del manto stradale, prestato all’impiego agonistico.
Nelle prime edizioni il mondiale della massima serie è approdato a Barcellona, sui circuiti allestiti a Pedralbes e dunque all’interno del parco del Montjuìc; a Casablanca, in Marocco, lungo le strade del locale quartiere Ain-Diab; nelle portoghesi Lisbona, in seno al parco del Monsanto, e a Oporto; nell’italiana Pescara, su un interminabile stradale di 25 Km.
Praticamente eterno è invece il rapporto tra la F.1 e l’angusto tracciato del Principato di Monaco, teatro dell’omonimo Gp. per la prima volta nel 1950 e dal 1955 in poi; nel 1952 fu invece riservato alle vetture Sport.
Tra i tracciati cittadini storici cè anche il circuito di Montreal, intitolato al funambolico pilota canadese Gilles Villeneuve.
Il circuito di Melbourne in Australia nel 2018 ha festeggiato le 23 edizioni.
I più giovani sono quelli di Singapore, Sochi (in Russia), e di Baku (in Azerbaigian).
Tra la metà degli anni 70 e i primi 90 gli Stati Uniti organizzarono Gran Premi iridati su 5 diversi circuiti urbani; il primo spetta a Long Beach, con 8 apparizioni, mentre sul tortuoso tracciato di Dallas si gareggiò soltanto nel 1984.
Avvincenti per gli spettatori, in virtù del ravvicinato contatto con le monoposto, i circuiti urbani rappresentano una eccitante sfida tecnica per i piloti, chiamati ad andare forte senza potersi concedere il minimo errore.
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